Pubblicato da: lastejan | 21/02/2017

Io, lui, lei e l’altra

Non vi ho più raccontato del sindaco.

Sono arrivata puntualissima all’appuntamento con la mia insegnante di musica, che è una persona splendida e si è fatta un giro con Ranocchietta mentre io ero in comune. Così sono arrivata puntualissima anche all’incontro con la PP, anzi, pure in anticipo.

I miei timori che non si presentasse, che arrivasse ubriaca o che arrivasse in ritardo per fortuna non sono stati confermati, ma è arrivata tutta vestita di nero con un fazzoletto rosso al collo, una roba stranissima, i capelli cortissimi e flosci, lo scazzo dipinto in faccia.

Mi sorride falsissima e poi nota il mio foglio di appunti scritti al computer.

Ho studiato letteratura applicata, mi hanno insegnato che nel mio ambito bisogna essere preparati, e bene, e che incontri come questo sono molto importanti. Quindi io non solo ho pensato a cosa dire al sindaco, ma ho messo giù i punti centrali al computer e li ho stampati, in una forma tale che se mai avesse detto “Scusi, non ha un riassunto di quello che ha detto?” avrei potuto dargli il mio foglio senza problemi.

Inoltre prevedevo che la PP non si sarebbe preparata, e avevo ragione, e che quindi era importante che almeno una di noi due sapesse cosa dire. Speravo anzi che questo l’avrebbe spinta a stare zitta, che nel suo caso è meglio.

Vede i miei appunti e le escono gli occhi dalle orbite: “Cos’è quello?” “I miei appunti per oggi…” “Fai vedere! Posso vedere? Ho il diritto di vedere, no?” e allunga le mani. No, non hai il diritto di vedere. Non sono tua figlia, non sono tua allieva, questa è proprietà privata, ma voglio evitare scenate e le tendo il foglio, anche perché non c’è scritto altro che quello che fa l’associazione.

Mi tiene zitta con una mano sollevata davanti al mio viso, legge attentamente, mormora, sussurra “Sì, vabeh, queste sono proprio le tue… si riconosce che…” e so che trova che sia insubordinazione che io osi appuntarmi delle idee per il futuro senza prima discuterne con lei (che si è dimessa, ricordiamolo). Chi se ne frega. Le faccio notare che la parte riguardante il progetto nuovo, per cui andiamo dal sindaco, è naturalmente di mia invenzione perché nessuno ne ha ancora parlato concretamente, ma lei mi liquida con uno svolazzo della mano e un borbottio. Dice “Ma anche io ho i miei appunti”, e tira fuori un taccuino tutto spiegazzato con tre frasi scarabocchiate su metà di un foglietto, “Vedi?”

Pazienza, Ste, pazienza. E’ solo pazza.

Arriviamo nelle stanze del sindaco e sembra di essere su un altro pianeta: l’edificio del comune è molto bello, ma qui siamo nell’ufficio del Megadirettore Arcangeli! Legno chiaro, belle piante, dipinti contemporanei, collaboratori affaccendati, luci gradevoli. Poltroncine e divani puliti ed eleganti per chi aspetta, un bel guardaroba per le giacche. Una segretaria si alza premurosa e ci offre delle grucce, poi entra un’altra segretaria secca secca e si presenta come quella con cui ho corrisposto per prendere l’appuntamento.

A questo punto la PP si sveglia dalla sua apatia borbottante e comincia a disquisire di cultura locale, letteratura friulana, visite guidate,… insomma si trasforma in quella donna dannatamente colta che è e in quella socialmente presentabile e carismatica che era cinque anni fa. La segretaria, che in realtà è l’assistente personale del sindaco, è subito affascinata, e a parte un paio di parole e annotazioni poco importanti io faccio solo da sfondo.

Dopo un’attesa molto breve arriva Lui, il Signor Sindaco, il Glorioso, il Semaforovestito (mediamente sobrio, per una volta, credo che avesse una giacca verde scuro). Ci stringe la mano e ci guida nel suo ufficio, che è davvero una figata pazzesca: anche qui quadri di arte contemporanea alle pareti – che la PP commenta e loda in modo competente – una grande scrivania piena di premi della città e con abbastanza scartoffie da sembrare che ci lavori, e un grande tavolo da riunioni con una decina di sedie. E’ una stanza enorme, la maggior parte è vuota. La scrivania messa di traverso la riempie in parte, così come il basso lampadario di vetro soffiato a mano, ma sembra di dover nuotare fino al tavolo da riunione. Non so dove sedermi, con tutte quelle sedie, e alla fine mi siedo alla sinistra del sindaco, a capotavola, con un tavolino con un telefono sopra (forse era addirittura rosso, il telefono, facendo tanto “Hello, Mr. President, sir?”). La PP si siede di fronte a me, l’assistente all’altro capotavola. Porta con sé un enorme quadernone verde chiaro che esplode di foglietti e appunti, e dall’aria stressata che ha lei, in contrasto con le maniere rilassate di lui, capisco già chi è che si fa il culo in questo ufficio. Sono piena di pregiudizi, sì.

Il sindaco ci invita a presentarci, la PP parla un po’ e poi mi passa la palla. Peccato per COME me l’ha passata. In un paese in cui il titolo di studi è tutto e in cui l’età è un criterio di giudizio, lei dice “Cedo la parola a Stefania, la mia giovane collaboratrice”, tralasciando il mio cognome, il mio titolo di studio e il fatto che, porcozzìo, sto nell’associazione da più anni di lei, non sono la sua tirocinante e… vabeh, ma che ve lo dico a fare? Avete capito. Mi fa fare la figura della ragazzina inesperta.

Il sindaco si gira verso di me con un sopracciglio alzato e fa “…Stefania?”, perché in Austria presentarsi per nome significa “Dammi del tu”, e in ambito professionale non si fa. Sappiatelo, se vi capita di lavorare in Austria. Io sorrido, dico “Sì, piacere, *COGNOME*, ma pare che sia più semplice pronunciare il mio nome. Sa, in italiano…”.

Superato quest’attimo di imbarazzo comincio a parlare e scopro che mentre noi (io) siamo venute per chiedere sostegno mediatico e finanziario per un certo progetto, lui invece ha delle aspettative molto diverse da noi. Io in realtà non credevo neanche che avesse delle aspettative.

Lui vorrebbe un’associazione culturale “come quelle dei paesi dell’ex-Jugoslavia”, comunità molto forte in Austria, che fanno eventi di musica popolare, danza, cucina. Noi invece siamo troppo snob, pare. Lui vorrebbe che facessimo delle feste caciarone per italiani, noi facciamo le conferenze sui gesuiti astronomi del Vaticano.

Diciamo che in parte gli dò ragione: io andrei a un decimo delle conferenze che facciamo. D’altra parte non siamo un’associazione rivolta agli italiani, ma principalmente ai NON italiani, e con lo scopo (fissato negli statuti di fondazione di fine ‘800) di diffondere la lingua e la cultura italiane. Quindi diciamo che potremmo anche essere un po’ più pop e meno aulici. Glielo dico, mentre la PP fa una faccia schifata che dice “Se non ti interessano gli astronomi gesuiti per me puoi bruciare all’inferno”, e lui rincara la dose dicendo che se facciamo un certo tipo di manifestazioni, se per esempio chiamiamo un cantante dall’Italia a fare una serata musicale, il comune caccerebbe volentieri dei soldi.

Per me è un’ottima notizia. Per la PP è come grattare la lavagna con le unghie.

La riunione prosegue per moltissimo tempo – quasi tre quarti d’ora – dove il sindaco ci dà molte idee, ci suggerisce con chi parlare e di cosa, ma ignora volutamente il progetto iniziale. Quando si capisce che stiamo finendo provo di nuovo a chiedere “Ma… e il progetto?” “Quale?” “Quello che…” “Ah, già. Sì, boh, cosa?” Non gliene importa niente. E’ una cosa che può essere utile alla città e che farebbe fare una bella figura alla sua giunta se ci sostenesse, ma non gli piace perché non è abbastanza pop. Dice che dovrei parlarne con l’assessore al sociale, invece so che devo parlare con quello all’economia, che è anche vicesindaco. Offre un mezzo aiuto, ma a condizione di stravolgere il progetto. E no, non va, ma abbozzo, sorrido e ringrazio.

Ci congediamo con grandi sorrisi – quanto si sorride in comune, mamma mia, quasi ci si dimentica delle denunce per abuso d’ufficio! – e usciamo. Fuori dall’ufficio parliamo ancora un po’ con l’assistente, rimaniamo che ci teniamo in contatto io e lei, e poi andiamo via.

Nelle scale vorrei accennare all’interessante incontro di poco fa, ma la PP mi blocca, si sgonfia tutta, poi si riempie d’aria e comincia una tirata infinita che mi accompagna fino fuori dal comune in cui assolutamente non accenna all’incontro, ma me la mena con le sue dimissioni, con l’Ingiustizia, con la Cattiveria, con la sua infinita pazienza e dedizione e lo stress incredibile a cui è sottoposta e blablabla, sempre sull’orlo delle lacrime, e capisco che sta cercando disperatamente di tirarmi dalla sua, di farmi pronunciare la frase “Ha ragione Lei” o almeno “E’ vero, ha sbagliato l’altra”, ma invano. Col cazzo che mi espongo, e poi penso che lei sia pazza. E ci prova, ci prova, mi vomita addosso fiumi di disperazione immaginaria e vittimismo, finché non sono costretta ad essere scortese, la interrompo e le faccio notare che ho un neonato da riprendermi. Allora lei sorride di nuovo, schizofrenia portami via, e mi augura una splendida giornata, inforcando la sua bici.

E niente, ora ho mille idee e cose in procinto di, ma non posso fare niente finché non facciamo una riunione clandestina senza di lei, perché lei dichiarandosi in carica fino a fine agosto, blocca in questo modo qualunque cosa non sia stato approvato da lei prima delle dimissioni e in ogni caso qualunque progetto oltre il 31 di quel mese. Che palle.

Per fortuna c’è il compleanno del Pupo che si avvicina e lì sì che mi aspetta un lavorone, perché per la prima volta vuole festeggiare con i suoi amici.


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